Prefazione del Ministro della Salute sen. Livia Turco
(da AIMA – Censis, La vita riposta:
i costi sociali ed economici
della malattia di Alzheimer,
ed. Franco Angeli, Milano 2007)
È importante avere la possibilità di confrontare, a distanza di anni, ciò che è stato fatto. Sappiamo bene quanto sia necessario ed indispensabile monitorare e misurare il sistema nelle sue azioni per verificare quanto, in concreto, le scelte compiute corrispondano a ciò di cui hanno effettivamente bisogno i cittadini.
E la pubblicazione di questo testo rappresenta, indiscutibilmente, una occasione per fare il punto della situazione, a sette anni dalla realizzazione della prima indagine. Una indagine nata, peraltro, dal basso, dalla interazione tra
una organizzazione di tutela, l’Aima (Associazione Italiana Malattia di Alzheimer) e il Censis. Anche questo è un dato interessante.
Vorrei ricordare che quella prima indagine, che fu poi pubblicata in un volume, La mente rubata. Bisogni e costi sociali della malattia di Alzheimer, ha rappresentato un momento di informazione importante. Quella pubblicazione ha fatto emergere per la prima volta, in maniera divulgativa, e concentrando una serie di informazioni, un quadro complessivo del quale avevamo certo più che un sospetto, ma vederlo integrato in una fotografia è stato, ovviamente, ben altra cosa.
C’erano ragioni per ripetere quella indagine? Penso proprio di sì. Intanto perché sono passati sette anni, e vale la pena di capire, comparativamente, che cosa è accaduto. È stato sperimentato il progetto Cronos e abbiamo assistito alla crescita di consapevolezza, anche nella opinione pubblica, su Alzheimer e demenze come problema concreto con il quale molte famiglie fanno i conti, quotidianamente.
Sette anni fa parlarne ha rappresentato un modo per far emergere il problema. Oggi siamo in un’altra condizione. Dobbiamo misurare l’efficacia di ciò che abbiamo fatto e rilanciare, affrontando una volta per tutte le sfide che
ancora restano di fronte a noi.
L’indagine ci fornisce una serie di informazioni molto interessanti. Un primo punto fermo mi sembra possa essere individuato nella importanza delle UVA. In base ai risultati dell’indagine, due pazienti su tre le frequentano, per poco meno della metà dei pazienti esse rappresentano il punto di riferimento unico per il trattamento della malattia, quattro pazienti su dieci hanno ottenuto la diagnosi in quella sede. Un secondo punto fermo mi sembra possa essere individuato nel sensibile miglioramento delle garanzie di accesso ai farmaci.
Nel 1999 i farmaci erano a totale carico delle famiglie, oggi, cito ancora una volta i risultati dell’indagine, la copertura gratuita da parte del Ssn è pressoché totale.
Un terzo punto che emerge dalla ricerca riguarda la crescita, significativa, ancorché non adeguata, della percentuale di pazienti che accedono a servizi territoriali importanti come i Centri diurni. Quasi un paziente su quattro vi fa ricorso oggi, era meno di uno su dieci nel 1999. È evidente che si tratta di una situazione ancora largamente inadeguata rispetto ai bisogni di pazienti e famiglie, ma un progresso è stato registrato anche su questo terreno.
Un quarto punto fermo riguarda la inadeguatezza della possibilità di usufruire di assistenza domiciliare. È vero che si registra un progresso rispetto al 1999, anche per questa forma di assistenza, ma siamo ancora lontani da
una copertura seria dei bisogni di pazienti e familiari, anche in considerazione dello scarso numero di ore garantito. Un riscontro immediato, e diretto, di questa situazione la ritroviamo nel ricorso, cresciuto ed esteso, alle badanti (quattro famiglie su dieci del vostro campione, con un dato probabilmente sottostimato).
Nonostante il ricorso alle badanti, il carico assistenziale che grava sul caregiver, e si tratta del quinto punto che emerge dallo studio, in genere un familiare, risulta particolarmente oneroso e si conferma, con maggiore evidenza rispetto alla precedente indagine, la difficoltà a conciliare il proprio ruolo di caregiver con i tempi del lavoro.
Questi dati confermano, se mai ce ne fosse bisogno, quanto l’Alzheimer rappresenti una priorità del nostro tempo e per il nostro sistema sanitario. Sappiamo poi che le possibilità di terapia per il malato di Alzheimer, ancora oggi, non sono risolutive. Ciò significa che dobbiamo investire in ricerca, ma preoccuparci, qui ed ora, della qualità della vita di chi è affetto da questa malattia.
Nella fase più avanzata, che può durare alcuni anni, il paziente è completamente dipendente dagli altri e in queste condizioni più dell’80% dei pazienti vive al domicilio, accudito prevalentemente dai familiari.
Si tratta, quindi, di dati complessivamente eloquenti, con un elemento di preoccupazione ulteriore. Anche in questo caso registriamo forti disomogeneità tra Regione e Regione nella capacità di garantire risposte ai cittadini, in particolare tra Nord e Sud del Paese.
La malattia di Alzheimer rappresenta un paradigma delle demenze, ma non solo. È il paradigma di quanto dobbiamo ancora fare per metterci nella condizione di assicurare risposte vere ed efficaci ai problemi posti dall’incremento delle cronicità. E di ciò che dobbiamo fare per costruire la cosiddetta medicina del territorio, cioè la medicina al di fuori delle strutture ospedaliere, vicina al domicilio dei pazienti, attenta alla personalizzazione dei percorsi assistenziali.
Anche per questa ragione abbiamo deciso di promuovere un forte investimento nelle cure primarie e nella integrazione socio-sanitaria. Sappiamo che è venuto il momento di passare da un approccio centrato sulla malattia ad uno centrato sulla persona, e di garantire una presa in carico effettiva del paziente e della sua famiglia. Sappiamo anche che, per avere successo, dobbiamo essere capaci di declinare insieme la necessaria attenzione per standard e linee guida con l’indispensabile personalizzazione del percorso diagnosticoterapeutico-
assistenziale.
Ciò significa partire dalla analisi dei bisogni e puntare davvero sulla costruzione della rete integrata dei servizi.
Il nostro sistema, lo sappiamo, è al centro di una transizione da una impostazione essenzialmente orientata alla cura delle acuzie e alla centralità dell’ospedale, alla presa in carico delle cronicità e alla attivazione di una rete di
servizi territoriali in grado di avvicinare ai cittadini e al loro domicilio l’offerta di assistenza. L’Alzheimer rappresenta, sotto questo profilo, un vero e proprio paradigma del mutamento delle esigenze dei cittadini in termini di bisogni assistenziali e dei cambiamenti ai quali le politiche sanitarie pubbliche devono orientarsi rapidamente.
Insomma, una vera e propria sfida, anche per la complessità della organizzazione dei servizi sanitari e sociali. Abbiamo bisogno di un sistema duttile ed integrato, in grado di rispondere in maniera articolata ai bisogni terapeutici, assistenziali e di sostegno dei pazienti e delle loro famiglie nelle diverse fasi della malattia.
Da dove partire? Intanto dall’esistente, da ciò che ha dimostrato di funzionare bene, dalle buone pratiche costruite con fatica e sacrificio da operatori, familiari, associazioni dei pazienti. E dai modelli che alcune Regioni, ancora poche, hanno via via strutturato per sforzarsi di garantire risposte più adeguate ai bisogni dei pazienti e dei loro familiari. E cogliere l’opportunità rappresentata dalla fase attuale di promozione e sostegno delle cure primarie e della integrazione socio-sanitaria, per garantire la giusta attenzione alle cronicità e,
in particolare, alle demenze.
Lo sviluppo dei dipartimenti per le cure primarie e l’integrazione socio-sanitaria e dei punti unici di accesso dovrebbe produrre una maggiore capacità complessiva del sistema di garantire presa in carico e orientamento al cittadino, soprattutto per situazioni complesse come la gestione di una demenza.
L’investimento sulle case della salute, come luogo fisico nel quale si concentra l’attenzione dei cittadini per quanto attiene alla medicina del territorio, fuori dall’ospedale, ha un valore pratico e simbolico al tempo stesso, nell’ottica della costruzione del secondo pilastro della sanità pubblica del nostro Paese.
È evidente, inoltre, che la gran parte delle questioni problematiche sollevate anche da questa nuova indagine, potranno avviarsi a soluzione attraverso una strategia di investimenti sulla assistenza domiciliare, strettamente collegata al varo del fondo per la tutela della non autosufficienza. Le disomogeneità territoriali nella assistenza socio-sanitaria che toccano in questo momento un malato di Alzheimer e i suoi familiari sono evidenti. E una parte consistente di esse riguarda proprio la tutela della non autosufficienza.
Insomma, c’è molto da fare per garantire la qualità della rete di servizi e dell’intervento assistenziale complessivo che mettiamo a disposizione dei malati di Alzheimer e delle loro famiglie. E proprio per questo provo un senso di gratitudine profonda per quanti, come chi ha prodotto questa indagine, mettono a disposizione del Paese, quotidianamente, il loro impegno e la loro dedizione.
Livia Turco
Ministro della Salute
Segreteria Nazionale
via Varazze 6 - 20149 Milano
Tel. 02/89406254 • Fax 02/89404192
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