Legge 5 febbraio 1992, n. 104

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Legge 5 febbraio 1992, n. 104
“Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale
 e i diritti delle persone handicappate”
(a cura dell’avv. Marina Verzoni)

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Ha grande importanza la legge n. 104/1992, diretta ad assicurare - in un quadro globale ed organico - la tutela delle persone disabili.
Tale legge, infatti, detta i principi dell’ordinamento in materia di diritti, integrazione sociale e assistenza delle persone handicappate (cfr. art. 2).
Vediamo quali sono le principali disposizioni della legge, e in che modo la stessa può applicarsi alle persone malate di Alzheimer.
Il primo articolo della legge n. 104/1992 definisce quali sono le finalità che devono essere perseguite, e in particolare stabilisce:
“La Repubblica:
a) garantisce il pieno rispetto della dignità umana e i diritti di libertà e di autonomia della persona  handicappata e ne promuove la piena integrazione nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nella società;
b) previene e rimuove le condizioni invalidanti che impediscono lo sviluppo della persona umana, il raggiungimento della massima autonomia possibile e la partecipazione della persona handicappata alla vita della collettività, nonché la realizzazione dei diritti civili, politici e patrimoniali;
c) persegue il recupero funzionale e sociale della persona affetta da minorazioni fisiche, psichiche e sensoriali e assicura i servizi e le prestazioni per la prevenzione, la cura e la riabilitazione delle minorazioni, nonché la tutela giuridica ed economica della persona handicappata;
d) predispone interventi volti a superare stati di emarginazione e di esclusione sociale della persona handicappata”.
Ma chi sono le persone handicappate le quali hanno diritto ai provvedimenti previsti dalla legge in esame?
La definizione dei “soggetti aventi diritto” è contenuta nell’art. 3 della legge, il quale prevede che: “È persona handicappata colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione.
La persona handicappata ha diritto alle prestazioni stabilite in suo favore in relazione alla natura e alla consistenza della minorazione, alla capacità complessiva individuale residua e alla efficacia delle terapie riabilitative.”.
Il termine “handicap” potrebbe sembrare poco rappresentativo della categoria di persone malate di Alzheimer, ed è pur vero che alla luce delle indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sulla classificazione dei concetti di salute e disabilità (accettata da 191 Paesi come standard internazionale) appare ormai obsoleto.
Applicando comunque la definizione della legge alla malattia di Alzheimer quale forma di degenerazione cerebrale che conduce alla progressiva perdita delle capacità cognitive (memoria, linguaggio e giudizio), non vi è dubbio sul fatto che tale malattia comporta una “minorazione progressiva” che determina un “processo di svantaggio sociale” come indicato nell’art. 3, e che conseguentemente la persona che ne è affetta abbia diritto alla tutela prevista dalla normativa in parola.
Va rilevato poi che l’art. 3 contiene, al terzo comma, un’ulteriore definizione di handicap grave, prevedendo che: “Qualora la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l'autonomia personale, correlata all'età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione, la situazione assume connotazione di gravità.
Le situazioni riconosciute di gravità determinano priorità nei programmi e negli interventi dei servizi pubblici”.
Come avviene il riconoscimento delle condizioni invalidanti, vale a dire l’accertamento relativo alla minorazione, alle difficoltà, alla necessità dell’intervento assistenziale permanente e alla capacità complessiva individuale residua del malato?

Tale riconoscimento spetterà alla Commissione medica istituita in base all'art. 4 della stessa legge n. 104/92 presso le Aziende Sanitarie Locali.
A tale riguardo, la Legge Finanziaria per il 2003 aveva previsto che per l'accertamento delle condizioni di invalidità e la conseguente erogazione di indennità, secondo la legge in vigore, delle persone affette dal morbo di Alzheimer, le Commissioni deputate sono tenute ad accogliere le diagnosi prodotte secondo i criteri del DSM-IV – manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali - dai medici specialisti del Servizio sanitario nazionale o dalle unità di valutazione Alzheimer.
Una volta stabiliti i soggetti tutelati dalla legge, altri aspetti di fondamentale importanza sono senz’altro la definizione dei contenuti degli interventi e la loro realizzazione.
Il titolo della legge si riferisce, infatti, oltre ai diritti delle persone handicappate, anche “all’assistenza e all’integrazione” di quest’ultime.
Vediamo che l’art. 5 della legge individua gli obiettivi per promuovere l'autonomia e la realizzazione dell' integrazione sociale della persona con disabilità, prevedendo che:
La rimozione delle cause invalidanti, la promozione dell'autonomia e la realizzazione dell'integrazione sociale sono perseguite attraverso i seguenti obiettivi:
a) sviluppare la ricerca scientifica, genetica, biomedica, psicopedagogica, sociale e tecnologica anche mediante programmi finalizzati concordati con istituzioni pubbliche e private, in particolare con le sedi universitarie, con il Consiglio nazionale delle ricerche (CNR), con i servizi sanitari e sociali, considerando la persona handicappata e la sua famiglia, se coinvolti, soggetti partecipi e consapevoli della ricerca;
b) assicurare la prevenzione, la diagnosi e la terapia prenatale e precoce delle minorazioni e la ricerca sistematica delle loro cause;
c) garantire l'intervento tempestivo dei servizi terapeutici e riabilitativi, che assicuri il recupero consentito dalle conoscenze scientifiche e dalle tecniche attualmente disponibili, il mantenimento della persona handicappata nell'ambiente familiare e sociale, la sua integrazione e partecipazione alla vita sociale;
d) assicurare alla famiglia della persona handicappata un'informazione di carattere sanitario e sociale per facilitare la comprensione dell'evento, anche in relazione alle possibilità di recupero e di integrazione della persona handicappata nella società;
e) assicurare nella scelta e nell'attuazione degli interventi socio-sanitari la collaborazione della famiglia, della comunità e della persona handicappata, attivandone le potenziali capacità;
f) omissis...
g) attuare il decentramento territoriale dei servizi e degli interventi rivolti alla prevenzione, al sostegno e al recupero della persona handicappata, assicurando il coordinamento e l'integrazione con gli altri servizi territoriali sulla base degli accordi di programma di cui all'art. 27 della legge 8 giugno 1990, n. 142 ;
h) garantire alla persona handicappata e alla famiglia adeguato sostegno psicologico e psicopedagogico, servizi di aiuto personale o familiare, strumenti e sussidi tecnici, prevedendo, nei casi strettamente necessari e per il periodo indispensabile, interventi economici integrativi
per il raggiungimento degli obiettivi di cui al presente articolo;
i) promuovere, anche attraverso l'apporto di enti e di associazioni, iniziative permanenti di informazione e di partecipazione della popolazione, per la prevenzione e per la cura degli handicap, la riabilitazione e l'inserimento sociale di chi ne è colpito;
l) garantire il diritto alla scelta dei servizi ritenuti più idonei anche al di fuori della circoscrizione territoriale;
m) promuovere il superamento di ogni forma di emarginazione e di esclusione sociale anche mediante l'attivazione dei servizi previsti dalla presente legge.
Il successivo art. 8 stabilisce poi che:
“L'inserimento e l'integrazione sociale della persona handicappata si realizzano mediante:
a) interventi di carattere socio-psico-pedagogico, di assistenza sociale e sanitaria a domicilio, di aiuto domestico e di tipo economico ai sensi della normativa
vigente, a sostegno della persona handicappata e del nucleo familiare in cui è inserita;
b) servizi di aiuto personale alla persona handicappata in temporanea o permanente grave limitazione dell'autonomia personale;
c) interventi diretti ad assicurare l'accesso agli edifici pubblici e privati e ad eliminare o superare le barriere fisiche e architettoniche che ostacolano i movimenti nei luoghi pubblici o aperti al pubblico;
d) provvedimenti che rendano effettivi il diritto all'informazione e il diritto allo studio della persona handicappata, con particolare riferimento alle dotazioni didattiche e tecniche, ai programmi, a linguaggi specializzati, alle prove di valutazione e alla disponibilità di personale appositamente qualificato, docente e non docente;
e) omissis...
f) misure atte a favorire la piena integrazione  nel mondo del lavoro, in forma individuale o  associata, e la tutela del posto di lavoro anche attraverso incentivi diversificati;
g) provvedimenti che assicurino la fruibilità dei mezzi di trasporto pubblico e privato e la  organizzazione di trasporti specifici;
h) omissis...
i) organizzazione e sostegno di comunità alloggio, case-famiglia e analoghi servizi residenziali inseriti nei centri abitati per favorire la deistituzionalizzazione e per assicurare alla persona handicappata, priva anche temporaneamente di una idonea sistemazione familiare, naturale o affidataria, un ambiente di vita adeguato;
l) omissis…
m) omissis...
Va subito rilevato che - in questo come in qualsiasi provvedimento legislativo - la definizione dei contenuti degli interventi dovrebbe essere la più puntuale possibile, affinché possano essere impartite precise indicazioni all’amministrazione competente ed agli operatori circa le prestazioni da fornire, e affinché i cittadini possano esattamente conoscere ciò a cui hanno diritto.
E’ infatti dalla concreta conoscenza dei diritti da parte dei cittadini, oltre che dal loro formale riconoscimento, che deriva l’esigibilità nonché l’esercizio dei diritti stessi, l’accesso ai servizi, e la possibilità di tutela contro ogni forma di negazione.
Da più parti è stato peraltro evidenziato che il grave limite della legge è che le sue norme hanno un contenuto meramente declamatorio di principi generali, non tradotti poi in disposizioni concrete e attuative.
Ed ancorché la legge lasci l’attuazione dei predetti principi generali allo Stato ed ai suoi enti, non stabilisce poi specificamente i compiti di tali soggetti.
La legge dovrebbe individuare chiaramente gli organismi preposti alla realizzazione di fatto dell’inserimento ed integrazione sociale della persona con disabilità.
Come si è visto, la legge incide (cfr. art. 5 di cui sopra) in settori diversi, spaziando dalla ricerca scientifica ad interventi di tipo sanitario ed assistenziale, di inserimento nel campo della formazione professionale e nell’ambiente di lavoro, di integrazione scolastica, di eliminazione delle barriere architettoniche e in genere degli ostacoli all’esercizio delle varie attività e ai diritti costituzionalmente protetti.
Come affermato dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 406/1992), il complessivo disegno della legge è fondato sull’esigenza di perseguire un interesse nazionale, stringente ed infrazionabile, quale è quello di garantire in tutto il territorio un livello uniforme di realizzazione di diritti costituzionali fondamentali di soggetti portatori di handicap e quindi anche il malato di Alzheimer, al perseguimento di simile interesse partecipano, con lo Stato, gli enti locali minori e le Regioni, nel quadro dei principi posti dalla legge e secondo le modalità ed i limiti necessari ad assicurare l’effettivo soddisfacimento dell’interesse medesimo.
La tutela apprestata investe argomenti che afferiscono parte a competenze statali (ministeriali)e parte ad attribuzioni regionali e di enti minori (Comuni e ASL): per la loro tipologia (sanitario - assistenziale), i diritti agli interventi oggetto della legge possono essere soddisfatti esclusivamente da enti pubblici, che possono provvedervi gestendo direttamente i servizi o affidandoli a istituzioni private.
Ma da più parti è stato evidenziato che il limite della legge è la mancanza di definizione dei compiti assegnati rispettivamente a Stato, Regioni, Provincie, Comuni e ASL, con la conseguente incertezza che ne deriva, dovuta anche alla previsione di competenze non prescrittive, vale a dire che non impongono a tali enti specifici obblighi.
In molti casi, poi, non è nemmeno chiaro di quale ente sia la competenza: si veda ad esempio il servizio di aiuto personale previsto dall’art. 8, lett. m), per il quale il successivo art. 9 dispone che può essere istituito dai comuni o dalle aziende sanitarie locali e gli articoli 39, 40 e 41 della legge relativi ai compiti delle regioni, dei comuni e del ministero per gli affari sociali.
Anche l’organizzazione dei singoli servizi influenza notevolmente l’incisività e la tempestività degli interventi e di particolare importanza sono quindi le condizioni e le modalità previste per l’accesso ai servizi medesimi da parte degli utenti, queste condizioni e modalità, però, non vengono direttamente disciplinate dalla legge, ma lasciate a frammentarie (e quindi scarsamente o comunque difficilmente conoscibili dai cittadini) leggi regionali e provvedimenti amministrativi.
Volendo poi analizzare la legge nella particolare ottica degli interventi per la tutela del malato nel proprio contesto familiare, è stato rilevato che altro limite della legge è la mancata prescrittività del sostegno alla vita in famiglia e al nucleo familiare e più in generale il mancato riconoscimento del ruolo della famiglia, che dovrebbe essere valorizzata come soggetto titolare di diritti, con la previsione di interventi specifici, quali l’erogazione di prestazioni domiciliari e di supporti professionali in grado di aiutarla nella sua opera di assistenza (si pensi al ruolo che riveste la famiglia nel quadro delle reti sociali, e quindi al diritto della famiglia stessa all’informazione, a servizi di qualità, al sostegno ed alla destinazione di risorse).
Le disposizioni di cui agli artt. 5 lett. a), c), e) e h) in tema di famiglia sembrano infatti ancora una volta declamatorie di principi, senza avere un carattere prescrittivo di precisi obblighi per gli organismi tenuti a darvi attuazione.
La legge quadro prevede peraltro alcune agevolazioni per i familiari di persone con handicap grave.
L’art. 33 della legge stabilisce infatti che chi assiste una persona con handicap in situazione di gravità, parente o affine entro il terzo grado, ha diritto a tre giorni di permesso mensile coperti da contribuzione figurativa, fruibili anche in maniera continuativa a condizione che la persona con handicap in situazione di gravità non sia ricoverata a tempo pieno.
La stessa norma stabilisce inoltre che il familiare lavoratore con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato, ha diritto di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede.
Vediamo nel dettaglio le misure di tutela riconosciute dalla normativa:
a) i permessi di tre giorni al mese retribuiti:
I soggetti beneficiari sono i parenti o affini entro il 3° grado (coniuge, fratello, nipote, zio, cognato); il beneficio consiste nel diritto a tre giorni di permesso mensile, frazionabili anche ad ore, coperti da contribuzione figurativa.
L’INPS ha precisato che per usufruire dei permessi retribuiti non è richiesta la convivenza con il disabile, purché l’assistenza sia prestata in via esclusiva e continuativa.
I requisiti della esclusività e della continuità devono sussistere contemporaneamente.
L’“esclusività” va intesa nel senso che il lavoratore richiedente deve essere l’unico soggetto che presta assistenza: il requisito non sussiste, quindi, se nel nucleo familiare del disabile vi sono altri familiari non lavoratori in grado di assisterlo o lavoratori che già beneficiano dei permessi per assisterlo.
La “continuità” consiste nell’effettiva assistenza del disabile per le sue necessità quotidiane. Il requisito non sussiste nei casi di oggettiva lontananza tra le abitazioni di chi presta e di chi riceve assistenza, lontananza da considerare anche dal punto di vista semplicemente temporale: si ritiene che vi sia il requisito se in un tempo di circa un’ora è possibile raggiungere l’abitazione del soggetto disabile.
Se invece vi è convivenza tra il lavoratore richiedente e la persona disabile, deve essere dimostrata l’impossibilità per altri familiari maggiorenni conviventi non lavoratori o non studenti di prestare assistenza.
Vi sono tuttavia dei casi di impossibilità di assistenza da parte del familiare convivente non lavoratore, che rendono possibile la concessione dei permessi ad altro familiare, quali l’invalidità, la minore età o età superiore a 70 anni unita a invalidità, grave malattia presenza di più di tre minori, presenza di un minore di 6 anni, mancanza di patente se il disabile deve essere trasportato per visite mediche o terapie.
Come si ottiene il beneficio? Per usufruire dei permessi occorre presentare domanda all’INPS e in copia al proprio datore di lavoro.
I permessi sono posti a carico dell’INPS e per gli stessi vengono considerati tutti gli elementi della retribuzione rientranti nel concetto di paga globale giornaliera.
I permessi non fruiti in un mese non possono essere cumulati nei mesi successivi.
b) la sede di lavoro più vicina
Anche in questo caso i soggetti beneficiari dell’agevolazione sono i parenti o affini entro il 3° grado. La logica della norma è ancora una volta quella di assicurare l’assistenza continuativa alla persona disabile. Il diritto alla scelta della sede di lavoro più vicina sussiste non solo al momento della costituzione del rapporto di lavoro, ma anche durante lo svolgimento dello stesso; con il conseguente diritto del lavoratore ad ottenere il trasferimento ad una sede più vicina al domicilio anche dopo essere stato assegnato ad una più lontana.
Per completezza, rileviamo che ulteriori agevolazioni sono previste dalla Legge n. 53/2000 (art. 4). I permessi retribuiti di tre giorni all’anno previsti dalla legge  vengono riconosciuti in caso di grave infermità del coniuge o un parente entro il secondo grado (fratello o sorella), e possono essere cumulati con i permessi concessi in base all’art. 33 della legge n. 104/1992. E’ inoltre previsto un periodo di congedo straordinario, che può essere anche frazionato a giorni, settimane o mesi per la durata massima complessiva, nell’arco della vita lavorativa, di due anni. Il congedo è consentito al dipendente pubblico o privato se sussistono gravi e documentati motivi familiari. Fra questi gravi motivi rientrano anche le patologie che comportano la riduzione o perdita di autonomia personale del familiare. Anche in questo caso occorre fare apposita domanda all’INPS, presentando la relativa documentazione medica.

(da Il quaderno del caregiver n.3 di AIMA Milano Onlus)

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